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di Sonia Schoonejans
Nel suo film La Ricotta del 1963, Pier Paolo Pasolini mette in bocca a Orson Welles, a proposito di Federico Fellini, queste parole: «Lui danza, certo, danza».
Infatti, al di là della connivenza tra danza e cinema, e nonostante le negazioni dello stesso Fellini che pretendeva di non avere alcuna conoscenza della danza, la cinepresa del grande regista e il ritmo del montaggio creano un movimento danzante. Basta ricordare le prime immagini di Amarcord dove, accanto a una donna venuta a stendere il bucato, le lenzuola bianche danzano con il vento. Senza contare i veri momenti di danza che si insinuano in praticamente tutti i suoi film, e questo già da Le luci del varietà girato nel 1950 con Alberto Lattuada fino a La Voce della luna che risale al 1990.
Molto spesso, le sequenze danzate si integrano naturalmente nella narrazione, con significati diversi, festivi, catartici, rituali o semplicemente come la manifestazione di uno slancio giovanile, come un surplus di vitalità innocente e primitiva. In La Strada per esempio, il personaggio di Gelsomina maltrattata da Zampanò, ritrova la sua allegria naturale quando abbozza un passo di danza. Allo stesso modo, la piccola prostituta di Le Notti di Cabiria sfugge alla falsità del suo mestiere quando la danza le permette di esprimere la sua vera natura, gioiosa e spontanea.
Quando in 8 e 1/2, una giovane donna trascina in un twist scatenato un uomo più anziano, questi ritrova un umore allegro sotto lo sguardo dubbioso di Guido, un regista in piena crisi personale e d’ispirazione. Ed è anche attraverso la danza che si esprimerà lo scioglimento del suo problema esistenziale. Questi, dopo aver rivisitato il suo passato e conosciuto dubbi e incertezze, si mischia anche lui alla grande farandola che chiude il film. Unendosi al suo gruppo, ai suoi amici, ai suoi familiari all’interno di questa ronda danzante, ritrova il suo posto insieme alla sua creatività.
A volte, oltre al suo potenziale vitale, la danza non è altro che seduzione come in Satyricon, quando la moglie di Trimalcione danza lascivamente durante la famosa cena. Ed è ancora attraverso la danza che si manifestano le prime emozioni erotiche quando, sempre in 8 e 1/2, i collegiali chiedono alla Saraghina di danzare la rumba!
È così che i film di Fellini utilizzano tutti gli elementi caratteristici della danza dalle sue origini fino ad oggi: legame catartico, sociale, sensuale. Questo spiegherebbe l’attrazione che esercita il cinema felliniano sui coreografi? In ogni caso, è innegabile la quantità di adattamenti coreografici e musicali a cui i suoi film hanno dato vita e di cui La Strada resta l’esempio più importante.
Tra i diversi balletti ispirati da questo film, il primo è quello che Mario Pistoni realizzò alla Scala di Milano nel 1966 con Carla Fracci nel ruolo di Gelsomina e lui stesso in quello di Zampanò. Un lavoro pieno di invenzioni coreografiche, che ricreano l’universo poetico-nostalgico del film e che sarà regolarmente ripreso alla Scala fino ad anni recenti.
Questa Strada di Pistoni è apparsa in Francia nel 2015 quando il Ballet du Rhin a Strasburgo, allora diretto da Ivan Cavallari, decise di rimontare la coreografia con nuove scene e costumi, più fantasiste di quelle originali in stile realista.
Nel 1995 è il turno di Micha Van Hoecke di mettere in scena uno spettacolo onirico intitolato Fellini per il Balletto dell’Opera di Roma. Il coreografo belga ha sempre ammirato Fellini che vedeva come « una specie di detective molto speciale che osserva l’esistenza con una misteriosa lente elettrizzante, mai banale. » Il balletto si concentrava sulla vita del regista ; Natalia Makarova interpretava il ruolo di Giulietta Masina (musa e moglie del regista) e Jean Babilée incarnava Fellini.
Negli anni ‘90, il coreografo Luciano Cannito crea alla Scala di Milano e al San Carlo di Napoli il suo fantasioso Amarcord, portato poi in tournée dalla compagnia milanese a New York e altrove.
Durante una serata in omaggio a Fellini, anche Maurice Béjart, pure ammiratore del regista, aveva inventato e coreografato una storia ridando vita ad alcuni personaggi felliniani interpretati dai danzatori della sua compagnia.
Nel 2018, Monica Casadei, con la sua compagnia Artemis Danza, crea I Bislacchi, un’evocazione dell’universo del regista attraverso personaggi e scene tratti dai film del ‘maestro’.
Diversi compositori e registi americani hanno attinto alla filmografia felliniana, creando commedie musicali per le scene di Broadway prima di realizzare un film.
È il caso di Sweet Charity, un musical messo in scena e coreografato nel 1966 per il teatro da Bob Fosse, poi in film nel 1969, ispirato da Le Notti di Cabiria di cui riprende la storia adattandola al contesto americano. La dolce prostituta romana diventa una taxi girl che lavora in un oscuro cabaret. Nonostante l’addolcimento del tema, Bob Fosse porta per la prima volta nei teatri del musical newyorkese un soggetto scottante e instaura un certo neorealismo cui Broadway non era abituata. Fellini, che non ha impedito questo adattamento, preferì però non apparire nei titoli di testa.
Dieci anni più tardi è 8 e 1/2 che Fosse decide di adattare a musical. Dopo Broadway, ne realizza il film. Questo sarà All That Jazz. Per immergersi maggiormente nel clima felliniano durante le riprese, Fosse aveva ingaggiato Giuseppe Rotunno, il direttore della fotografia di Fellini.
8 e ½ ha anche ispirato il compositore Maury Yeston, autore dei testi e delle canzoni della commedia musicale Nine, creata a Broadway nel 1982, diventata un film nel 2009. Alvin Ailey vi firmava la sua unica coreografia per Broadway. L’adattamento mette in scena un solo personaggio maschile, il Guido di 8 e ½, circondato unicamente da donne. Ancora una volta, Fellini rifiutò di essere associato al progetto e cambiò idea solo quando ascoltò le prime canzoni dello spettacolo. Invitò allora Yeston a Roma e questi poté suonarle sul piano appartenuto a Nino Rota, il compositore delle musiche di diversi film felliniani.
Infine, non si può scrivere su Fellini e la danza senza evocare il suo incontro con Pina Bausch nel 1982 durante uno spettacolo dato dalla coreografa e la sua compagnia al Teatro Olimpico di Roma. Colpito dalla “danza” sonnambula di Pina in Café Muller, Fellini le propose il ruolo della principessa cieca in E la Nave va. Le riprese di questo film sembrano aver influenzato i lavori successivi della coreografa. Pina non solo realizzerà lei stessa un film, Die Klage der Kaiserin (Il lamento dell’imperatrice) ma soprattutto, a partire dal 1983, anno di E la Nave va, la coreografa userà molto il video come elemento mobile nelle sue scenografie. Da parte sua, Fellini, stimando una grande coreografa al punto di volerla nel suo film, riconosceva la danza tra le arti maggiori.
In Pina come in Fellini, per la forza delle immagini e dei gesti, l’arte tocca zone di percezione estetica al di là delle parole.
Sonia Schoonejans
Alina, il trionfo di Gelsomina
La Strada –cor. Natalia Horecná, mus. Nino Rota – Alina Cojocaru & Acworkroom Prod.
Londra, Sadler’s Well’s Theatre
Il ritorno di Alina Cojocaru sulla scena londinese in un nuovo balletto ispirato a La Strada, film del 1954 di Federico Fellini, ha prodotto un vero entusiasmo nel pubblico affezionato al balletto della capitale inglese; quel che gli mancava da tempo era una vera e propria star, che in questo caso conosceva bene: infatti la ballerina di origine rumena si era affermata come una delle migliori interpreti del Royal Ballet tra il 1999 e il 2013, prima di lasciare la compagnia insieme al partner di scena e marito Johan Kobborg. Da allora, ha avuto una carriera varia, diventando poi una musa per il coreografo John Neumeier al Balletto di Amburgo.
Ora, il suo ritorno a Londra al centro di questa creazione della coreografa slovacca Natalia Horecná è stata accolta con grande successo al Sadler’s Wells.
È apparso subito chiaro che la ballerina (42 anni) non ha perso nessuna delle sue straordinarie qualità: la fluida naturalezza del movimento, una tecnica forte, una profonda immedesimazione nel personaggio e un innato senso del teatro.
Il ruolo di Gelsomina – una giovane venduta dalla sua povera famiglia a Zampanò, un brutale atleta da baraccone – è stato interpretato con finezza e con una profondità sentimentale e drammatica lontana dagli eccessi caricaturali degli altri danzatori.
Lo stile preciso e sostanzialmente “neoclassico” della Horeèná risulta debole nella narrazione, ma più incisivo nelle sezioni “astratte”, che vedono la protagonista affiancata da due figure dalle sembianze angeliche.
È stato un vero piacere vedere Kobborg, ora 51enne, di nuovo in scena, in forma, sicuro, tecnicamente solido.
Invece, all’ex primo ballerino del Teatro alla Scala Mick Zeni è stato offerto poco buon materiale su cui lavorare, perché la coreografa ha dato al personaggio di Zampanò troppe smorfie a occhi spalancati e salti in una danza quasi in stile sovietico.
L’ambiente del circo itinerante è reso in modo poco convincente. Le troupes di artisti da baraccone avevano già affascinato autori e platee del dopoguerra (il balletto Les Forains di Roland Petit, il film Les Enfants du Paradis di Marcel Carné, e appunto La Strada di Fellini del 1954, per fare alcuni esempi), ma questi tempi sono ormai lontani; i buffi movimenti e le bizzarre camminate concepite dalla Horecná risultano perfino fastidiosi.
Fin troppo ovviamente, la coreografa ha selezionato una serie di estratti dalle partiture di Nino Rota, protraendo in un prologo, due atti ed epilogo un balletto nato come atto unico secondo Mario Pistoni che creò nel 1966 La Strada alla Scala, protagonista Carla Fracci.
Ma la qualità della Cojocaru è tale che, quando è in scena, nessuna critica allo spettacolo sembra avere importanza. Diversamente da molti altri danzatori o ballerine, la Cojocaru è capace di ricordarci che, per un grande interprete, la prestanza tecnica è l’inizio del proprio viaggio artistico e non la meta finale.
Gerald Dowler